Safari




Safari
febbraio – marzo 2011















 


Qui c’è il verde e c’è il rosso e c’è l’oceano e dentro, poi, l’oceano non c’è, però c’è più rosso e tutte le altre cose che non si vedono ma ci sono.

E il caldo si appoggia alla pelle e parla una lingua che non ha parole ma si capisce: noi ci guardiamo e vediamo che respiriamo meglio, quando sappiamo di esserci, solo che queste sono cose da lasciare aperte mentre si cammina o ci si ferma un momento a riposare, perché altrimenti il caldo che ci accompagna si fa più pesante e ci distoglie (dal guardare con meraviglia)




I


I Coccodrilli non li abbiamo visti.
Le braccia del sole sul cuscino. Richiamano al giorno
ed è un occhio di luce bianca e luce gialla
che scosta i rami e li apre come lembi
di palpebre e notte.
Ieri eravamo sul fiume.

I pescatori ci salutavano e ci guardavano guardare.
Ci guardavano bere bibite dalle bottiglie di vetro
e bere dalle noci di cocco con la cannuccia.
Ieri eravamo sul fiume
secondo i ritmi delle maree.



II


Abbiamo due giorni interi di sole, e oceano e vento
e abbiamo due sere intere di vento e una luna calante
e danze, prima di partire per l’isola.
I capelli stanno immobili all’aria. Puntano dritti la terra.
Le scimmie passano accanto cercando con lo sguardo,
veloce lo sguardo, cosa portiamo nelle mani.

Le scimmie passeggiano, saltano dal tetto al ramo,
vanno di qua e di là.



III


Uno struzzo può tenere nella pancia un chilo di pietre.
Laviamo le ombre con l’acqua salata del pozzo
e abbiamo fatto tanta strada,
per arrivare fin qua. Con i capelli raccolti,
con le mani raccolte, con i semi e con i frutti.
Abbiamo portato libri e cappelli.
Abbiamo portato scarpe. E abbiamo portato
con noi i nomi delle stelle, prima di andare a dormire.

I nostri sogni sono rossi e quando arrivano,
le mattine grigie sono solo un’illusione.
IV

I bambini ci correvano incontro: offrivano
dollari da cambiare e chiedevano caramelle.
Ma eravamo senza denti e nessuna moneta locale.
Abbiamo lasciato i nostri fogli
diventare strati dell’umidità e avremmo
lasciato anche le penne.
Il furgone bianco si allontanava salutando
a destra e a sinistra, con le mani altre mani.
Curvava per la costa e ogni altra cosa
poi svaniva dietro la polvere.

Eravamo rossi di sole ed eravamo
tante lingue sconosciute. Ci siamo guardati
con sospetto per tutto il giorno,
cercando delfini e mangiando sulla spiaggia
all’ombra.



V


Abbiamo due giorni interi di vento.
Mentre leggevo Freud sulla sdraio,  il varano
è sceso a farsi una nuotata in piscina.
E acqua che scorre, acqua che si raccoglie,
in taniche gialle di plastica e sabbia, acqua
che si alza e poi scende e si alza ancora, acqua
che si porta da lontano, acqua da andare a prendere in fila.
Ci siamo lavati i piedi e le ciabatte, e poi ancora i piedi.

Ognuno ha aspettato il momento dell’acqua e dei piedi.
Con qualcosa in mano, che era già altrove.
Anche le facce erano nuove.






VI


Disintegrare il cibo ingerito.
Gli invitati attendono filmando l’oceano indiano
nei telefonini, l’oceano indiano sotto gli archi.
Intrecci di palma e buganvillee e, più indietro,
intrecci di rami, e di radici, e di capelli, e cavi.
Ci sono degli uccellini nell’acqua che somigliano
a rondini e prendono il colore dell’azzurro al tramonto.
Avanti e indietro, avanti e indietro.

Ho sognato una vacanza al mare
Ed erano ricordi non miei.
Tartaruga che mi vieni incontro.
Le foglie formano sentieri sull’acqua.



VII


Si cammina scalzi.
Gli alberi bianchi ci abbracciano.
Scendono dal cielo proprio qui. Lasciano
rami per aria, tengono l’isola unita, fanno pane,
fanno ombra. Gli alberi bianchi
fanno anche sapone.
Le sale da pranzo hanno pavimenti
di sabbia e divani bassi. Hanno pareti di cotone rosso,
pipistrelli sul soffitto. Dalla luce il buio.
Dalla luce: il buio.
Si cammina tra cavità e radici.

Il serpente nel sole ci sente arrivare,
il sentiero è tracciato tra file di pietre bianche.



VIII


Voglio ricordarmi di tutto.
Diceva la donna col braccialetto e veniva da Varsavia.
Ed è a lato degli occhi che si raccoglie la polvere.
Dai finestrini aperti, sbalzi improvvisi spezzano
la continuità dello scorrere lontano appena
appena qui, una distanza di meraviglie impermeabili.
Libri aperti su pagine casuali,
nel tentativo di descrivere gli infiniti, fotografare
le profondità del giorno e il giorno arriva molto prima
della luce del sole.
Nel buio gli occhi bianchi conducono la via
e conducono le mani negli intrecci
e fuori dalle tasche dei pantaloni e sui volanti

e c’è sempre qualcuno che cammina.



IX


Tutto quello che abbiamo sono i colori
e gratitudine per ciò che è stato.
Capre riposano all’ombra dei cespugli e altre capre camminano
lungo la via ininterrotta, sotto il sole a perpendicolo del pomeriggio
verso la casa. Poi sarà presto mattina
e avremo ancora le nostre pance piene,
- e noi, i nostri mariti ubriachi, addormentati per terra
e sarà presto mattina, nell’oscurità.
La calma è una parte del sole.
Quando non ti cercavo mi sei venuto incontro
e quando non ti cercavo ti ho ritrovato
tra gli anemoni di mare e gli occhiali ammucchiati
il mio cervello corallo e i panni stesi sui tetti, ad asciugare.
Non c’è alcuna discriminazione tra i colori
il rosa e il giallo e tutti che salutano.

L’uomo cammina lungo e sul ciglio
raccoglie radici dolci, da masticare.



X


La savana è vicina*
la terra si alza e si abbassa con quieta frequenza
è stata una notte lunga di richiami e lotte. I richiami
nella notte corrono tra gli arbusti disseccati.
Gli alberi, emersi come relitti dalle sponde
di civiltà antiche, dimora del silenzio e formiche rosse,
accolgono il sole all’alba.
La casa nel mattino ha occhi ancora chiusi, per sentire
il suono sottile della trasparenza.

Ho chiuso gli occhi anch’io
E tutte le conchiglie addormentate nella sabbia
erano diamanti, nel sogno di qualcuno.




XI


I coccodrilli non li abbiamo visti, ma i tronchi nell’acqua accanto
ai nostri tronchi scavati e ospitali, erano coccodrilli
senza madri e andavano tutti dove tutti vanno,
soli, galleggiando. Soli riflessi nel movimento del fiume
e le isole emerse non hanno colpa né fratelli grandi.
Le tracce della pioggia di ieri sono benedizioni
raccolte in cisterne di lamiera.
Jesus of Nazareth is coming.

Ogni ora è buona per mangiare o per non mangiare
e se sei abituato, puoi mangiare anche otto cocchi di fila
tu, e la tua nostalgia occidentale per un violoncello
che se ne sta a casa, nella custodia.



XII


Le isole non hanno corpo senza memoria d’acqua.
Il destino dell’acqua s’immerge alle radici
e s’adatta allo spazio, al regredire spesso.
Abbiamo nuotato e abbiamo assistito alle cascate:
c’era il tempo e c’era il rosso del tramonto.
L’aquila pescatrice aveva offerte di piume giovani
e uno sguardo veloce che è tutto fatto di riflessi
ed è tutto fatto di foglie.
Sulla barca ci siamo chiesti cosa sentono le mani
e ci siamo chiesti dove vanno a finire i cappelli.

Al ritorno cosa sentono le mani e cosa portano
le lettere chiuse dentro i vasi.
Le notizie arrivano da lontano, anche quando piove
e noi siamo discesi nel fango con le scarpe e le calze in mano.



XIII


È rosso che si spande mentre si cammina
il fuoco delle sere, la luna, rosso nei petali del frangipane sul sentiero
e gli altri petali scartati dalle scimmie.
Abbiamo sognato le code pendenti e le costruzioni abbandonate e infrante
e abbiamo sognato le piscine vuote, luoghi sacri sulla spiaggia
di corallo e ristoranti nelle cavità della roccia.
I guerrieri sotto le stelle vegliano sulla strada, come gatti pezzati
dalle code grosse. E siamo usciti.

Non andate di là, ci hanno detto e a parlare era un braccio
aperto da parte a parte.
Di là c’erano i flutti e c’erano altre onde.



XIV


Un albero strangolatore impiega più di vent’anni
a prendere il posto dell’albero originario.
Nella foresta sacra si possono sentire le voci dei morti
e si può sentire il respiro degli alberi.
Era verde anche il cielo, e ogni lato da cui si proveniva.
Nelle stazioni di sosta si offrivano benvenuti
per pochi spiccioli. Altrimenti servono le ali,
per andarsene da qui servono le ali.
Non prendere niente. Non lasciare niente.
Abbiamo sentito l’abbraccio dei secoli sussurrarci all’orecchio
tutti i suoni del silenzio. Si camminava tra le radici
respirando corteccia, vestendo corteccia.

Poi il giorno scompariva dietro l’oceano
e veniva a prenderci la notte, e la notte
portava fuochi e portava carezze.
Veniva la notte a prenderci e la notte
portava la pace e portava altre luci.




*Paolo Conte – L’avance